lunedì, maggio 29, 2006

Lessico famigliare

Molte famiglie, fra le mura domestiche, credo abbiano la consuetudine di parlare, accanto alla lingua nazionale e ai dialetti locali, una sorta di "linguaggio parallelo". E' quel "lessico famigliare" -di cui narra Natalia Ginzburg nel bel libro del 1963- che si compone di aneddoti, memorie infantili e orrori ortografici ormai assurti a consuetudine.
Le parole straniere poi, in bocca a nonne e zie più che ottuagenarie, si dispiegano in un "grammelot" che a volte confonde lingua e cervello sostituendosi al termine originale fino a impedirne completamente il recupero.
E' il caso di questi Fascin Kraft (?), piatto nato nella cucina della nonna di mio marito, di cui sopravvive la ricetta da 4 generazioni, ma non l'appellativo originale.
Probabile residuo mnemonico di leccornie proposte da una delle tate tedesche succedutesi in famiglia -ebbene si, avevano di queste usanze- per ottenerne una ventina, la ricetta è la seguente:
Per l'impasto:
  • 250 gr. di latte
  • 2cucchiaini di sale
  • 1 cubetto di lievito di birra
  • 100 g burro
  • 2 uovo e 1 tuorlo
  • farina circa 500 gr.

Per la farcitura:

  • 200 g di provolone
  • 200 g di salame napoletano

Impastate il cubetto di lievito con circa 100 gr di farina e un mezzo bicchiere di acqua tiepida. Ricavate un panetto che lascerete a lievitare in un luogo fresco e asciutto. Far sciogliere il appena burro, impastarlo con la farina in una ciotola dove si aggiungerà il latte a temperatura ambiente, le uova, la farina ed il sale. Inserire il panetto lievitato in questo impasto, e porre nuovamente a lievitare fino a quando non raddoppi il suo volume. Ricavare delle palline che farcirete con cubetti piccolissimi di provolone e salame. Porre le palline su una teglia e farle nuovamente lievitare coperte da uno strofinaccio per un paio d'ore. Prima di infornarle in forno già caldo a 180° per venti minuti, pennellare la superfice con un tuorlo d'uovo.

E se dovessero chiedervi il nome della ricetta, inventatene uno voi.

giovedì, maggio 25, 2006

Resistere, resistere, resistere

Stamattina, prima di mettermi a lavorare, ho notato uno strano movimento nei pressi dell'istituto superiore sul quale prospetta il balcone dello studio. Un nutrito gruppo di adolescenti, tutti rigorosamente di sesso maschile, fra schiamazzi e improperi stava appendendo uno striscione sulla facciata della scuola.
Sul marciapiede parallelo, sotto gli ombrelloni del baretto, un gruppo di coetanee di sesso opposto, era in preda ad una visibile eccitazione.
Ora io non è che sia proprio vecchia; diciamo che lo sono abbastanza da provare sconcerto per l'abbigliamento di un adolescente, ma non così tanto da trasformarlo in sdegno. E diciamo che lo sono abbastanza da appartenere a quella generazione che pensa, quando vede dei liceali con uno striscione, che il contenuto sia senza dubbio politico.
Quale stupore dunque, nell'accorgermi che il testo recitava pressappoco così:
"Da tre anni con te, da tre ani nella mia vita...il tempo e come se non fosse passato, ti amo cucciolotta mia, tvtb" firmato XY -nome e cognome per esteso, che non riporto per smemoratezza e non per discrezione-.
Tralasciando l'inqiuetante numero di ani - evidente errore di ortografia piuttosto che caso interessante per un anatomopatologo- e le è senza accento, il "latore della presente", evidentemente soddisfatto, veniva portato in trionfo dagli amici mentre la "cucciolotta" riceveva pacche sulle spalle e complimenti dalle sue compagne di classe; nel frattempo, barista, salumiere, professori e automobilisti, si godevano lo spettacolo e commentavano.
Il fatto curioso però, era che i due ragazzi in questione, sembravano badare più a questa piccola folla di spettatori, dei quali in qualche modo facevo parte anche io, che l'uno all'altra. Terminati infatti i dieci minuti di interessamento da parte dei passanti per l'insolita vicenda, i Romeo e Giulietta del quartierino, anzichè scappare insieme verso qualche giardinetto appartato, rientravano in classe ciascuno con i rispettivi amici.
Intanto, un vento inclemente, nel corso della mattinata strappava via lo striscione, lasciandolo a penzolare tristemente per un sol lembo. Nessuna mano pietosa lo rimetteva in sesto ma, sopratutto, nessuno, nemmeno dopo la fine delle lezioni lo portava via.
Nel corso del pomeriggio, un occhio al computer e uno alla grigia facciata dell' isitituto, non potevo fare a meno di notare che, la dichiarazione sul lenzuolo, scivolava, col passare delle ore, via via sempre più in basso; intanto, i passanti si facevano più radi, i lampioni si accendevano e arrivava la sera, ma nessuno raccoglieva il telo, ormai annerito, appallottolato sopra il marciapiede.
Ora magari io, che conservo vagoni di lettere ingiallite, fiori secchi e perfino biglietti dell'atuobus di una "giornata particolare" di 15 anni fa sarò esagerata, ma il fatto che un oggetto del genere, non divenga automaticamente reliquia, proprio non lo capisco.
Eppure una spiegazione semplice, forse addirittura semplicistica ma, a parer mio -sig- azzeccata, c'è. Ed è che la spettacolarizzazione dei sentimenti, sta diventando l'unico "canale" per esternarli; e il "mezzo" è tanto seducente e narcisista, che spesso fa dimenticare il fine.
Il tempo delle scritte anonime sui cavalcavia, sui muretti, in luoghi che solo in due si poteva conoscere e comprendere, sta scomparendo; il significato in "codice", magico proprio perchè segreto, di certi messaggi, dei nomignoli che li firmano, sta lasciando il posto a testi teatrali con tanto di nome e cognome. La smania di protagonismo, si sta sostituendo piano piano alla voglia di svelarsi solo a chi ci è caro.
E ora, ora mi costringete a dire una cosa che fa tanto "vecchietta indignata"...me la sarei evitata volentieri ma...devo prendermela con la televisione. E si, perchè se provate ad accenderla di pomeriggio -e giuro sul creme caramel che è il mio dolce preferito che non lo faccio più!- assisterete a un autentico delirio; i sentimenti, spettacolarizzati all'ennesima potenza, vengono spiati, vivisezionati, mostrati...insomma tutto fuorchè vissuti.
Questa televisione, che ci incita a sviluppare il peggio dentro ognuno di noi, trasformandoci in voyeur ed esibizionisti, è la stessa che ci spiega che per cucinare "non c'è tempo", ma che per fortuna esistono in commercio tanti "fantastici" prodotti industiriali; basta ripassarli in padella per qualche minuto.
A questo stato di cose, secondo me, bisogna "resistere, resistere, resistere". Io ho cominciato la mia battaglia, con una serie di piatti che si preparano nello stesso tempo in cui si scongela un surgelato; tanto per batterli sul loro stesso terreno. Oggi ho preparato una Frittata al curry con peperoni, gamberetti e basilico.
Per 4 persone
  • 6 uova
  • 200 gr di gamberetti sgusciati -quelli surgelati vanno benissimo, in un altro post vi spiego perchè-
  • 1 grosso peperone rosso
  • qualche foglia di basilico
  • un pizzico di curry
  • 4 cucchiai olio extravergine di oliva
  • 1/2 bicchiere di vino bianco

Battete le uova e mescolateci il basilico spezzettato con le dita. Tagliate il peperone a piccoli dadini. Riscaldate l'olio e quando è ben caldo -non deve soffriggere però- unite il curry e dopo un minuto i peperoni che rosolerete per un paio di minuti. Aggiungete i gamberetti e appena il composto riprende a "sfrigolare" sfumate con il vino bianco. Quando il liquido sarà evaporato, versate sul composto di peperoni e gamebri le uova sbattute con il basilico. Terminate di cuocere la vostra frittata.

Mangiatela, e non rivelate e nessuno perchè amate tanto questo piatto. Uno, e uno soltanto, capirà.

lunedì, maggio 22, 2006

Piccolo è bello

Ho sempre avuto, fin da piccola, una passione sfrenata per le cose minute e analoga, devo dire, per le cose enormi. La dimensione eccessiva di un ogetto, in un senso o nell'altro, mi ha sempre suggestionata; se da un lato infatti, trovavo profondamente accattivante l'oggettiva monumentalità che "le cose grandi" contengono in se, dall'altro l'infinitamente piccolo, accendeva in me l'idea che quel mondo minuscolo potesse contenerne molti altri di dimensioni infinetesimali.
Ricordo ancora che una delle teorie che maggiormente mi aveva colpita da bambina riguardava l'origine dell'universo; diceva che, potenzialmente, la più piccola parte di materia del nostro mondo, poteva contenere a sua volta altri mondi, scomponibili anche essi praticamente all' infinito.
Così come la forma di un ogetto è importante, lo sono anche le sue dimensioni. E questo, bisogna tenerlo a mente anche in cucina dove, sopratutto gli ortaggi, non possono essere scelti con indifferenza in tal senso.
Se, per esempio, zucchine e melanzane di grosso calibro si prestano alla frittura, quelle piccine, decisamente più saporite, sono indicate per piccoli bocconcini ripieni, o per cotture semplicissime come il vapore e la lessatura. Analogamente i peperoni grandi sono da preferire se li si vuole arrostire, mentre per farli ripieni, i piccoli a "corno di bue" sono l'ideale; graziosi e saporiti, non implicano un "impegno" eccessivo dello stomaco del commensale come invece accadrebbe se, un ortaggio già di per se indigesto, venisse proposto in "size large" e per giunta in una preparazione elaborata.
Però, devo dire che ormai, non è facile trovare ortaggi di piccole dimensioni; ragioni di mercato,ne impongono di enormi e lucentissimmi, non importa poi se dentro sono acquosi o insapore. L'altro giorno però, al mercato facevano bella mostra di se delle piccolissime melanzane, non più grandi del palmo di una mano -guardate la dimensione in rapporto alla foglia di prezzemolo nella foto- a mio parere frutto di un saccheggio in qualche orticello bio.
Ho così preparato delle Barchette di melanzane con mousse di tonno gratinata, che per 6 persone dovrebbero prepararsi così:
  • un chilo di melanzane di piccole dimensioni
  • 120 gr di tonno sottolio di alta qualità (il fior fiore è coop buonissimo!!!)
  • 100 gr di provolone grattugiato
  • 50 gr di olive di gaeta snocciolate
  • un ciuffo di prezzemolo
  • 50 gr di capperi sotto sale (i miei sono autoprodotti dalla zia eoliana)
  • 200 gr di mollica di pane
Lavate le melanzane, tagliatele a metà e incidete al polpa, senza arrivare fino in fondo, formando un reticolo. Allineatele sulla placca del forno e lasciatele una ventina di minuti a 180 gradi. Nel frattempo mettete a bagno la mollica di pane. Quando le melanzane saranno pronte, scavatene la polpa "quadrettata" e unitela con il pane ammollato e strizzato, il tonno, il provolone, il prezzemolo, le olive e i capperi, e passate tutto al mixer. Il composto deve risultare proprio come una mousse, spumoso e "fermo", quindi se risultasse troppo molle, aggiungete del pane grattugiato.
Riempite poi le "barchette" di melanzane con il composto e ponete a gratinare sotto il grill fino a quando non si formi una crosticina dorata.
Servite caldo (ottime anche fredde) e mangiatele in un sol boccone. Perchè anche per questo, piccolo è bello!

venerdì, maggio 19, 2006

Mangiatori di pesce

"Siamo mangiatori di pesce, ne facimmo na passione...". Così canta, di noi napoletanti, con il suo meraviglioso accento astigiano, Paolo Conte. Almeno per me, la cosa ha un suo fondamento, forse influenzato dal fatto che sto di casa praticamente "dentro" uno dei mercati del pesce più famosi del mondo.
Insomma, complice anche il venerdì, istituzionalmente giorno dedicato a qesto tipo di pasto, sono andata al mercato a vedere che c'era. E sì, perchè il pesce -e forse proprio tutta la spesa- non si dovrebbe comprare con "premeditazione".
Non si può partire di casa con l'idea precostituita di cucinare -faccio un esempio- delle seppie. E se non fossero fresche come dovrebbero? E se invece un metro più in la, sul banco viscido, un "cuoccio" freschissimo, rosso e lucente ci chiamasse con la stessa insistenza con cui, altre creature marine meno commestibili, chiamarono Ulisse?
E così mi sono fatta il mio giro. Era tardi, le 12 circa; il pesce non si dovrebbe comprare mai dopo le 9 del mattino, quelli che ne capiscono, si son portati già via il meglio. Ma la cuoca non la faccio di mestiere e le occupazioni che mi consentono l'esistenza mi avevano assorbita fino a quel momento.
Sui banchi azzurri, ormai niente di eccezionale; qualche spigola irreggimentata nelle cassette di polistirolo, tristemente allineata con altre a lei identiche a denunciarne la provenienza di allevamento, un paio di pescatrici di considerevoli dimensioni -ma oggi non ho ospiti- qualche polpo dall'aspetto moscetto. Poi, all'imporvviso, loro...lucenti, argentate visibilmente freschissime...ALICI!!!
Noooo ho pensato subito, perchè? Perchè le ho trovate? Eh si, perchè io le alici le amo, ma sono il pesce più noioso da pulire! Insomma, con fare mesto mi avvicino e ne ordino un chilo, proporzione già inaudita per il numero di commensali, ma unità di misura minima in un mercato dove il pesce si vende abitualmente a tonnellate. Il simpatico "pescatoriello" mi riempie la busta, pesa e mi dice "signò, me date i stessi sord' ma sono un chilo e mezzo"!
Lo guardo sconsolata e gli dico "noooo"; lui di contro si volta un po offeso -un regalo non andrebbe mai rifiutato, chi è che non ha orride bomboniere in casa?- e mentre sta per replicare, lo fermo, facendogli presente che il problema sarà pulirle. Lui, un occhio alla busta e uno a me, mi guarda e fà "faciteve curaggio!"
E così stasera, dopo aver coraggiosamente pulito 1,5 kg di alici, ho preparato un Tortino gratinato di alici al balsamico, una ricetta semplice, perchè il pesce non va assassinato con lunghe cotture e intingoli micidiali. La semplicità della preparazione, oltre a esaltare il sapore del pesce, compensa la "lungaggine delle operazioni di pulizia"
per 6 persone:
  • 1 kg di alici freschissime
  • 200 gr di pane grattugiato
  • 5-6 cucchiai di olio extravergine di oliva
  • 1 spicchio d'aglio
  • 1 ciuffo abbondante di prezzemolo
  • 5-6 cucchiai di aceto balsamico

Pulite "coraggiosamente" le alici aprendole a libro ed eliminandone lische e interiora. Preparate un trito con l'aglio e il prezzemolo e unitelo al pane grattugiato. Emulsionate l'aceto e l'olio. Disponete in una pirofila unta uno strato di alici e ricopritelo con il composto di pan grattato e bagnatelo con qualche cucchiaio di emulsione di olio e aceto. Continuate alternando gli strati "incrociando" la disposizione delle alici e terminando con la panura. Infornate 15 minuti a 180 gradi e terminate con qualche minuto di grill.

Il pesce in generale, lo sapete tutti, fa davvero bene. Quello azzurro in particolare è praticamente una medicina...basta farsi coraggio e prenderla!!!

martedì, maggio 16, 2006

L'importanza della forma

La forma è una cosa importante. Nella sua accezione prettamente morfologica intendo.
Ho sempre odiato i gadgets a "forma di", tipo l'accendino a forma di pianoforte per intenderci; per me, se una cosa ha la forma di un pianoforte, deve suonare!
La forma delle cose va rispettata, perchè è il risulatato di successive precisazioni, di una esperienza collettiva che ha modificato quell'oggetto fino a fargli assumere la sua "forma ideale", suscettibile sì di trasformazione, ma sempre nel solco della tradizione che l'ha prodotto. Certo, poi arriva un designer e ti fa la macchinetta del caffè a forma di polipo. Non farò la solita battuta sulla frequente inutilizzabilità degli oggetti "troppo" design. Non è della funzione che stiamo parlando, quanto piuttosto della "riconoscibilità" dell'oggetto stesso; la forma non può e non deve essere"indifferente".
Allo stesso modo, i formati di pasta non possono essere utilizzati per il loro essere "farina di semola di grano duro ed acqua", quanto piuttosto per la loro forma che chiede, con le sue dimensioni, scanalature e bucature, carne, pesce o verdure.
Nello specifico, la calamarata è un formato di pasta talmente "purista", da nascere teoricamente per un solo tipo di condimento, il calamaro appunto, di cui imita la forma quando viene tagliato a rondelle.
Per dimostrare però, che anche all' interno della "tradizione", esistono sempre variazioni ammissibili, oggi proponiamo una Calmarata ai peperoni e spada con olive di gaeta e provoloncino; il pesce resta un punto fisso, ma di calamari, in questo piatto, non ne troverete neanche uno.
Per 6 persone
  • 500 gr di pasta formato "calamarata"
  • 2 grosse fette di pesce spada alte 1,5 cm (600 gr circa)
  • mezzo chilo di peperoni rossi e gialli
  • 7 cucchai di olio extravergine di oliva
  • uno spicchio d'aglio
  • perperoncino piccante
  • mezzo bicchiere di vino bianco
  • 100 gr di olive di Gaeta
  • 100 gr di capperi (io adopero quelli di Salina)
  • 150 gr di scaglie di provoloncino dolce

Lavate e pulite i peperoni e tagliateli a pezzi di circa 2 cm di lato. Soffrigete aglio e peperoncino nell' olio e quando diventa caldo a sufficienza, cuoceteci i peperoni. Nel frattempo mettete l'acqua per la pasta e tagliate a tocchetti il pesce spada; aggiungetelo ai peperoni quando mancherà solo qualche minuto alla loro cottura e sfumate con il vino. A fine cottura aggiungete olive e capperi dissalati, scolate la pasta al dente e saltatela in padella con il condimento. Impiattate e grattugiate su ciascun piatto qualche scaglia di provolone.

E mangiateli con una forchetta di forma congrua...

mercoledì, maggio 10, 2006

Un cuore rosso

Mi scuso per il ritardo con cui rettifico questo post, che ho cominciato a inserire il giorno in cui è stato eletto il nuovo Presidente della Repubblica.
"Napolitano" come me, il neo-Presidente, è il primo ex iscritto al Partito Comunista Italiano eletto al Quirinale; e malgrado sia sempre stato riformista -anche quando era terribilmente impopolare esserlo- qualcuno ha insinuato che nel petto di questo questo elegante signore di 81 anni, batta ancora un cuore rosso, come in questo Tortino soffice con cuore di fragola che prepareremo così:

  • 200 gr. di farina
  • 1 cucchiaino di lievito per dolci
  • 80 gr. di zucchero
  • 1 bustina da 8gr. di zucchero vanigliato
  • 1 pizzico di sale
  • 1 scorza grattugiata di limoni
  • 2 uova
  • 80 ml. di olio di arachidi
  • 100 gr. di jogurt tipo muller
  • 150 gr. di fragole
  • 2 cucchiai di aceto balsamico
  • 2 cucchiai di zucchero

Imburrate 6 stampini da creme caramel. Mettete a marinare 6 belle fragole in 2 cucchiai di aceto e 2 di zucchero. Mescolare farina e lievito assieme aggiungere lo zucchero, la vanillina, il sale, la scorza di limone, le uova, l`olio, lo jogurt e le fragole -tranne 6- ridotte in purea. Montare il tutto con il frullatore elettrico equando l'impasto è bello gonfio e spumoso, versare negli stampini e affondare, al centro dell' impasto, una grossa fragola marinata. Infornare in forno già preriscaldato a 180gradi e cuocere per 30min.

Fate raffreddare e, se siete comunisti, mangiatelo al posto dei bambini.

sabato, maggio 06, 2006

Roma versus Cartagine

Ho visitato Tunisi qualche anno fa. Dirò una banalità lo so, ma per me, napoletanta, il luogo presentava un certa "familiarità". Non fosse altro per la nave della "traghetti pozzuoli" che, come sotto casa mia, era placidamente ormeggiata in quelle acque che furono un tempo dominio di Cartagine.
D'altra parte, come recita la canzone degli Almamegretta:
... Annibale sconfisse i romani -ma poi le prese e pure parecchie!!! (ndr)- restò in italia da padrone per quindici o vent'anni -35 per l'esattezza, e senza neanche il permesso di soggiorno!!!(ndr)-...Ecco perche molti italiani hanno la pelle scura, ecco perche molti italiani hanno i capelli scuri, ecco perche molti italiani hanno gli occhi scuri, ecco perche molti italiani hanno la pelle scura...Un po' del sangue di Annibale e rimasto a tutti quanti nelle vene...Nessuno puo dirmi stai dicendo una menzogna...Se conosci la tua storia sai da dove viene il colore del sangue che ti scorre nelle vene...Durante la guerra, pochi afroamericani, riempirono l'europa di bambini neri, cosa credete potessero mai fare, in venti anni di dominio militare, un'armata dl africani in italia meridionale...Ecco perche, noi siamo figli di Annibale...
Sarà per via di questa fgliolanza della quale, da buona terrona dagli occhi e capelli decisamente scuri, non posso dubitare, ma a me il cous cous piace da impazzire; come del resto anche i romanissimi carciofi.
Così, almeno in cucina, l'ipotesti di un Roma versus Cartagine, che finisca anzichè nel sangue, nella padella, potrebbe verificarsi con questa ricetta: Cous Cous di verdure con carciofi croccanti alla mentuccia dove proprio quest' ultima, col suo profumo presente sia nel te della Casbah che nei piatti del Lungotevere, mette pace.
Per 6 persone:
  • 500 gr di cous cous precotto
  • acqua come scritto sulla confezione del cous cous
  • 10 cucchiai di olio extravergine di oliva
  • 2 dl di olio di arachidi
  • 2 melanzane lunghe
  • 2 zucchine piccole
  • 2 peperoni uno giallo e uno rosso
  • 3 carciofi romani
  • mentuccia
  • 3 cucchiai di farina 00

Tagliate le verdure a dadini piccoli 1 cm per alto, fate riscaldare 7 cucchiai di olio in una capace padella e quando è ben caldo, versate prima i peperoni, dopo un minuto le melanzane e dopo 4 minuti le zucchine. Fatele rosolare per bene senza bruciarle e salate solo a fine cottura. Nel frattempo preparate il cous cous precotto come indicato sulla scatola e conditelo subito dopo versata l'acqua con i tre cucchiai di olio restanti. Tagliate i carciofi, dopo averli puliti, a lamelle sottilissime, infarinatele e frigetele in un pentolino piccolo e alto con l'olio di arachidi. Teneteli in caldo senza salarli. Mescolate il cous cous alle verdure, riempite i piatti e ponete su ognuno le lamelle di carciofo che salerete al momento. Finite il piatto con un trito di mentuccia.

E che sia Pax, e non romana.

venerdì, maggio 05, 2006

Non mi esce dalla zucca...


Oggi è il 5 maggio. Non so voi, ma appena sento questa data, il mio cervello comincia automaticamente a recitare "Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro..." e non riesce a fermarsi, giuro! Passa per Alpi, Piramidi, fa un giro dal Manzanarre al Reno, rotola nella polvere per ben tre volte e dopo -tutto sporco di polvere- sale sugli altari... insomma, fino a che non raggiunge -sempre lui, il mio cervello- le fatidiche parole "...sulla deserta coltrice accanto a lui posò", non trova requie. E questo mi succede ogni santissimo 5 maggio dal 1981, ovvero dall' anno in cui, in 5° elementare, mi fù "insegnata" questa benedetta poesia.
Per la verità la maestra, "illuminata" devo dire, per l'epoca e l'ambiente -un istituto religioso- ci consentì di impararne soltanto un paio di strofe per ciascuno. La questione fu però che, vuoi perchè eravamo ormai sul finire dell'anno scolastico, vuoi perchè la morte di Napoleone non è esattamente un argomento di quelli che appassionano un bambino di 10 anni, fatto sta che, sta benedetta poesia, non entrava nella zucca a nessuno. Nemmeno a noi secchioni -si c'ero anche io fra loro, lo confesso- che inizialmente ci eravamo addirittura proposti di -orrore- impararla tutta!
La cosa divenne si dominio pubblico, in tutta la scuola si mormorava che la 5 D non riusciva a imparare il 5 maggio a memoria!!! Devo dedurre, a posteriori, che il caso era davvero spinoso se, perfino mio padre, che credo si sia accorto di ciò che faccio un paio di volte in 35 anni, si interessò alla questione. Me la recitò per intero -wow...competitivo anche con una bambina di 10 anni- con grande enfasi e, ricordo, particolare accento sulla parte che recita "...muuuuuuuuuuuuuuuuta" -così la recitava lui, e credo sotto sotto riferendosi a me- "...pensando all' ultima ora dell'uom fatale..."
Insomma, per risolvere una volta e per tutte la questione, la maestra decise di dedicare al fatidico 5 maggio -ma non so se lo fece come fioretto per il mese Mariano- una intera settimana di scuola. Per 6 lunghi giorni, dalla nostra classe si udiva provenire un coro dapprima timido e inceppato poi, via via sempre più convinto, che inneggiava al bassetto corso. La "cura d'urto", sortì il suo effetto e l'ultimo giorno fu un delirio carico di esaltazione: ognuno di noi, non solo aveva imparato l'intera poesia a memoria, ma la recitava come se fosse napoleone in persona con tanto di mano sul petto e ricciolo sulla fronte.
Non so che fine abbiano fatto gli altri 29 sventurati bambini. Qui ce ne è una a cui quella poesia, non esce più dalla zucca.
Così tanto per distrarmi ho provato, la zucca, a cucinarla. Ho pensato a risotto alla zucca rivisitato, ed è ventuo fuori un Basmati pilaf con zucca in salsa di ricotta salata e amaretto, che per 6 persone si fa così:
  • 360 gr di riso basmati
  • 300 gr di polpa di zucca
  • 7 cucchiai di olio extravergine di oliva
  • mezzo bicchiere di vino bianco
  • mezzo porro
  • 600 ml di brodo vegetale
  • 30 gr di burro
  • 120 gr di ricotta salata
  • 240 ml di latte
  • 2 cucchiai rasi di farina
  • un cucchiaio di liquore all'amaretto
  • pepe macinato al momento
  • 6 amaretti
  • prezzemolo tritato

Soffrigete il porro nell' olio, aggiungete il riso, tostatelo e sfumate con il vino bianco. Aggiungete la zucca, coprite tutto con il brodo vegetale e senza mescolare, ponete il tegame incoperchiato in forno e cuocete per un tempo calcolato sottraendo 3 minuti al tempo di cottura indicato sulla scatola del riso.

Nel frattempo preparate la crema. Grattugiate la ricotta salata e mettetela in un pentolino, aggiungete, la farina il liquore e versate il latte a filo. Il composto deve risultare liscio, fluido e senza grumi. Fatelo addensare a fuoco lento mescolando sempre nello stesso verso. Raggiunta una consistenza cremosa spegnete. Sfornate il riso che deve risultare asciutto e con i chicchi ben distaccati e mantecatelo con il burro.

Ungete 6 stampini di alluminio da creme caramel, riempiteli di riso appena sfornato e fateli appena raffreddare, nel frattempo versate la salsa di ricotta a specchio nei piatti. Sfomate con delicatezza il riso dallo stampino e adagiatelo sulla salsa, ricoprendolo leggermente con prezzemolo tritato. Servite con un amaretto intero da sbriciolare al momento. Per chi lo gradisce un po di pepe ci sta bene.

Dimenticavo, avrei un messaggio per il prossimo ministro della pubblica istruzione: gentile signor ministro, prima di affaccendarsi a smantel...hem a riformare la scuola, potrebbe eliminare dai programmi ministeriali il 5 maggio?

mercoledì, maggio 03, 2006

"Avanzi" tutta.

Mi è stata chiesta una ricetta per "riciclare" le uova di pasqua.
Tempo fa, un amico, mi raccontò questo aneddoto: la sua famiglia, in occasione della pasqua, donava alla numerosa prole, una tavoletta di cioccolato ciascuno. La loro pragmatica mamma infatti, considerava alquanto scellerato l'acquisto di un prodotto, in questo caso il cioccolato, che per il solo fatto di avere l'inutile forma di un uovo, costasse 4 volte tanto.
Ma i bambini si sà, vogliono essere ingannati...chi se ne frega se quell'ogetto lucido, scuro, ammantato di carte luccicanti, col ventre tintinnante di chissà quali sorprese, sono solo 150 gr di cioccolato al latte??? E quindi, oggi al mondo esistono 4 ex bambini degli anni '70 che conservano la cocente delusione di aver mangiato tanta cioccolata, ma sempre rigorosamente in forma di tavoletta.
Il punto però è proprio questo: che la cioccolata, loro, e chiunque sia stato bambino almeno venticinque-trenta anni fà, la divoravano qualunque forma avesse.
Oggi no, oggi la cioccolata, "avanza". Come possa "avanzare" della cioccolata in una casa con bambini è uno dei misteri della società contemporanea.
Ma per quanto misteriosa sia l'origine di questo accadimento, non si può non prenderne atto e dunque, "ricicliamo" pure le uova avanzate in questo modo:
per circa 20 Dolcetti muesli e cioccolato:
  • cioccolato avanzato delle uova 200 gr
  • muesli croccante 200gr (consiglio biologico coop)

Fate sciogliere a fuoco dolcissimo la cioccolata a bagnomaria mescolandola delicatamente con una spatola in gomma da pasticceria. Quando si è completamente sciolta, mescolarla bene per raffreddarla un po senza che si solidifichi. Versare il muesli e girare rapidamente per evitare che "cuocia" nella cioccolata calda. Formare con due cuchiali delle "quenelle" (sono delle "polpettine allungate" che vengono fuori "da sole" lavorando gli impasti con 2 cucchiai) che metterete a raffreddare in frigo. Il prodotto si conserva molti giorni sia dentro che fuori dal frigo, -a seconda della stagione- come del resto al cioccolata stessa.

Chissà se anche questi avanzeranno.

martedì, maggio 02, 2006

Oggi vi piglio a paccheri...

«Mo' ti piglio a paccheri», è una classica "minaccia" napoletana. Per chi ne avesse bisogno, la traduzione è «Adesso ti prendo a schiaffi». Direte voi: ma se avverto, l'oggetto del pacchero, di avere intenzioni cotanto bellicose, magari gli do il modo di schivarlo...

Giusta osservazione, ma il discorso è un altro; ed è che a Napoli, le risse funzionano un po' come la cucina. Se infatti, fra i fornelli, non c'è piatto che non sia preceduto da un aroma, per strada, non c'è colpo che non sia preceduto da una minaccia.

E così io, napoletana e cuoca, non posso non attenermi a questa regola, che stamattina ho rispettato fin dal titolo, che recita appunto Oggi vi piglio a paccheri.

Il pacchero, un grosso "tubettone" come si evince dalla foto allegata, è un formato di pasta da "poveri", perchè ne bastano pochi a dare l'illusione di un bel piattone. Oggi, che si fa finta che i poveri non esistono più, diciamo che è una pasta per chi sta a dieta, e sempre per lo stesso motivo di cui sopra.

Malgrado non sia capace di stare a dieta, e non sono neanche tanto povera da non potermi permettere 30 grammi di pasta in più, ieri sera, li ho cucinati lo stesso. Li ho preparati alla "sorrentina" ovvero gratinati al forno, con un sugo leggerissimo di pomodoro, provola affumicata e fior di latte. Sì, fior di latte, perchè la mozzarella, per lo meno quella napoletana a 5 stelle, io reputo un insulto cucinarla.

Per cucinare i Paccheri alla sorrentina per 6 persone che mangiano con moderazione, comportatevi così:

  • 500 gr di paccheri

per il sugo:

  • 750 gr di pomodori pelati
  • una piccola cipolla
  • qualche foglia di basilico fresco
  • 7 cucchiai di olio
  • sale

per il ripieno:

  • 200 gr di provola affumicata
  • 200 gr di fior di latte
  • 100 gr di parmigiano grattugiato

Ponete in un tegame dal fondo spesso e i brdi abbastanza alti, i pelati l'olio e la cipolla cruda e sbucciata. Mettetelo sulla fiamma ausiliaria (la più picola del fornello) a fuoco bassissimo, aggiungete una mezza tazzina di acqua, incoperchiatelo e lasciatelo li a sobollire lentamente per un ora. Cercate ovviamente di non dimenticarvelo, se dai controlli si fosse asicugato aggiungete sempre la mezza tazzina d'acqua. Alla fine dell'ora, se il sugo si presentasse ancora liquido, eliminate la cipolla metteteci il basilico e fatelo addensare qualche minuto a fiamma un po più alta senza coperchio. Nel frattempo tagliate a dadini provola e fior di latte e fate bollire abbondante acqua salta in una pentola capiente - ricordate che il pacchero ha dimensioni considerevoli rispetto al peso. Quando l'acqua bolle, salatela e calate i paccheri che scolerete molto al dente. Mesocolateli al sugo e alla metà del parmigiano nella pentola, potentene un primo strato in una teglia, metteteci sopra i dadini di provola e fior di latte e mescolate appena, poi versate il secondo strato di pasta e fate un altra leggera mescolata. Questa cosa delle "mescolate leggere" serve a non far sciogliere i latticini prima che vadano in forno, come accadrebbe invece, e in modo disomogeno, se fossero mescolati in modo più energico alla pasta bollente. Ricoprite il tutto con il parmigiano avanzato e ponete in forno alla funzione grill per farli gratinare.

Dimenticavo, se la dimensione del pacchero, è vero, inganna l'occhio, lo stomaco non è così fesso...

lunedì, maggio 01, 2006

Bread and Roses

Oggi 1° maggio è la festa dei lavoratori.
E per celebrarlo da quest' angolo di cucina, cito il bel film di Ken Loach Bread and roses. Il film ci racconta dei Janitors, i lavoratori che si occupano delle pulizie nei grandi uffici della city, donne e uomini talmente "invisibili" ai grandi manager che vi lavorano, da non meritare neanche il più banale dei gesti di educazione: il saluto.
E questo perchè è idea comune, in certi ambienti, che chi pulisce "lo sporco degli altri" sia una persona (?) che dalla vita può aspettarsi al massimo il "bread" -e sia chiaro, sempre sotto forma di briciole di tavole ben più ricche- ma non certamente le "roses".
E' pensando a loro che mi è tornata in mente una ricetta capace di tenere insieme pane e rose.
Si tratta della ben nota Torta delle rose, qui proposta in una versione un pò più "bread", ovvero rustica, che potremmo appunto ribattezzare Bread and roses:
per la pasta:
  • 700 gr di farina
  • 250 gr di burro
  • 4 uova intere
  • una presa di sale
  • pepe a piacere
  • 100 gr di parmigiano grattuggiato
  • 1 cubetto di lievito di birra
  • acqua tiepida q.b.

per il ripieno:

  • 200 gr di formaggi misti tipo provolone
  • 200 gr di salame

Sciogliete il lievito in acqua tiepida, aggiungete un poco di farina fino a ricavarne un panetto che lascerete crescere per un ora o due (dipende dal clima) in luogo caldo e asciutto, coperto da un telo. Fate una fontana con la farina, precedentemente impastata con il burro morbido, e al centro, ponetevi le uova il sale il pepe e il parmigiano e, se occorre l'acqua tiepida, impastate tutto con forza per una decina di minuti fino a ottenere una pasta morbida. Fatela crescere in una terrina coperta, in luogo tiepido, fin quando la pasta avrà raddoppiato di volume (i tempi di lievitazione, come già detto, dipendono molto dalla stagione). Nel frattempo tagliate i formaggi e il salame a dadini e mescolateli fra loro. Quando la pasta sarà lievitata, stendetela allo spessore di un centimetro, disponete su tutta la superficie la dadolata di formaggi e salame e arrotolate con delicatezza la pasta, il più strettamente possibile. Dal rotolo ottenuto, ricavate poi dei tranci regolari larghi circa 3 cm (devono venire fuori delle "rotelle" di pasta per intenderci) e disponeteli in una teglia rotonda imburrata a un paio di cm l'uno dall' altro. Lasciate lievitare di nuovo sempre in luogo coperto e asciutto fino a che le rotelle di pasta non si siano "accostate" fra loro. Infornate a forno già caldo a 160° per i primi 10 minuti poi a 170°-180° per un'ora di cottura complessiva. Sformate solo quando sarà freddo.

Buon 1° maggio a tutti.