lunedì, novembre 27, 2006

Dopo sedici anni...

...ho ritrovato il pecorino fuso, una meraviglia per il palato che avevo assaporato nel 1990 in Sardegna e che avevo più volte provato a cercare senza successo smarrendola poi negli anfratti della memoria gastronomica. E invece d'improvviso, eccolo comparire, prezioso e costoso ma nel banco frigo di un banalissimo supermercato.
Approfittando del meme del Cavoletto, l'ho adoperato per fare questo Risotto mela e noci mantecato con crema di pecorino dove la dolcezza del frutto trova nella sapidità del formaggio "pane per i suoi denti"...
Per prepararlo per 4 persone occorrono:
  • 2 mele "annurche" (pregiata varietà campana brutta ma buona)
  • 12 noci
  • 5 cucchiai di olio evo
  • uno scalogno
  • 1/2 bichiere di vino bianco
  • 500 ml di brodo vegetale
  • 250 gr di riso carnaroli
  • un pizzico di cannella
  • 2 cucchiai di pecorino fuso
  • 2 cucchiai di pecorino grattugiato

Tritate lo scalogno e mettetelo ad appassire nell'olio; aggiungete le noci tritate grossolanamente in modo che "soffriggano" un po'. Unite il riso, tostatelo, sfumatelo con il vino bianco e cominciate la cottura del risotto aggiungendo progressivamente mestoli di brodo vegetale; metà della suddetta aggiungete le mele tagliate a cubetti. Prima che il risotto ecceda il punto di cottura, spegnete e mantecate con il pecorino fuso, aggiungete quello grattugiato mescolato ad un pizzico di cannella e servite decorandolo con gherigli di noce interi e fettine di mela sottilissime non sbucciate e tenute chiare con poco succo di limone.

Forse sarò eccessiva, ma io lo adoro, tanto che me lo mangio a cucchiaiate come faceva Nanni Moretti con la Nutella...

giovedì, novembre 23, 2006

Il bel paese

Se mai esistesse la reincarnazione, e ne dubito dato che non sono certissima che esista un anima senza corpo, in un'altra vita non vivevo in città. Per la verità anche in questa vita sono una cittadina anomala, perchè tendo ad escludere dalla mia esistenza quell'aspetto "mondano" che è tanto caro invece a chi, della città , non può proprio farne a meno. La mia dimensione "ludica" non la ritrovo mai nel locale all'ultimo grido, ma piuttosto fra le bancarelle di una sagra, nella gita di pasquetta con gli amici di una vita, in quello scorrere pigro del tempo libero che è sempre un po' un essere fuori dal tunnel-l-l-l del divertimento.
Sarà per questo che poi, invece, ho scelto per mestiere di studiarla la città, di opporre, ai tempi pigri delle my favourite things, questa vertigine di mescolanza, che non mi spaventa ma che fondamentalmente non mi diverte.
Certo nella città c'è l' Università, ci sono i musei, trovi tutto quello che ti serve senza fare chiliometri di curve, puoi lasciare il fidanzato senza che diventi un affare di stato e come diceva il signor G., è piena di strade e di negozi e di vetrine piene di luce...Però a me, cittadina da sempre, ex bambina che vedeva il cielo solo a strisce fra i palazzi e riconosceva le stagioni soltanto dai vestiti che indossava, è sempre mancato, in questo luogo delle possibilità, qualcosa.
Ho capito cosa fosse solo quando ho conosicuto mio marito e il racconto della sua infanzia di libertà fatta di capanne sugli alberi e estati nell'acqua del fiume, di furti di pannocchie e pipistrelli allevati nelle cantine. Lo so, sembra che abbia sposato Huckleberry Finn; magari esagero e lo sovrappongo all'amato all'eroe di quando ero bambina le cui gesta non potevo ripercorrere, ma solo immaginare leggendole dietro i vetri dai quali non si vedono alberi. Però ho scoperto in me, o forse solo ritrovato, un bisogno strano di camminare sulla terra, io che avevo scarpe solo per l'asfalto, di toccare gli animali, io che cambio strada se soltanto vedo un cane.
Così il paese di mio marito è diventato una origine anche mia e mi capita di confondere le sue memorie infantili con quelli che sono stati i miei desideri, i miei ricordi con i suoi racconti.
Sua nonna, autrice di questo piatto, è diventata così anche la mia e mio è diventato il compito di impararlo e tramandarlo. Si tratta dei Cicatelli, una pasta di casa semplicissima, solo farina ed acqua, qui condita con i broccoli ma che si presta, nelle declinazioni della tradizione, ad essere preparata tanto al pomodoro quanto in bianco, semplicemente con aglio olio e "cerasiello", un temibile peperoncino autoctono. Per prepararli con il metodo collaudato da almeno una ottantina d'anni da nonna Maria Vincenza, classe 1915, occorrono:
  • una "iummella" (una manciata a due mani) di farina di cappella (grano duro) per ogni commensale
  • acqua tiepida "quanta se ne tira" per ottenere un impasto morbido
  • un pizzico di sale

L'impasto che ne viene fuori, deve essere morbido e molto elastico; stendetelo poi con un mattarello su una spiantoia infarinata fino ad ottenere, come diceva zia O. una O di giotto, alta circa 2,5 mm (procuratevi un calibro ;-P). Tagliate delle strisce alte circa 1,5 cm, e successivamente dei pezzetti larghi circa 1/2 cm. Cavate con l'indice e il medio uniti questi pezzettini di pasta e cuocete in abbondantissima acqua bollente e salata per un tempo ragionevole (insomma assaggiate). Conditeli con sugo di pomodoro fresco oppure broccoli saltati in aglio olio e peperoncino, o anche solo con questi ultimi tre ingredienti.

Come potete vedere dall'immagine qui sopra, anche i più raffinati ed esigenti gourmet apprezzeranno...

venerdì, novembre 17, 2006

Si parte!

Non è che chissà dove andiamo eh? Ma quando hai lavorato negli ultimi 12 fine settimana, passarne uno in un paesello piccolo piccolo arroccato sull'appennino ti sembra meglio di un viaggio a Parigi!
Sia chiaro, non è che vada esattamente a riposarmi, porterò comunque un bel po' di lavoro con me, ma almeno non mi alieno da sola in casa mentre marito e figlia gozzovigliano alla tavola di mia suocera; e poichè non voglio perdere nemmeno un minuto di questo agognato momento, partiamo proprio ad ora di pranzo, portando con noi qualcosa da mangiare in macchina. Per questo ho preparato il mio solito
finger food da viaggio; questa volta è una Quiche carciofi provolone e pancetta che si prepara, così:
  • 500 gr di pasta sfoglia o brisèè
  • 500 gr di cuori di carciofo già puliti (1 kg di carciofi al naturale)
  • 5 uova intere
  • 200 gr di parmigiano grattugiato
  • 200 gr di pancetta tesa
  • 200 gr di provolone dolce
  • 50 gr di burro
  • pepe nero macinato al momento

Stendete la sfoglia surgelata sul tavolo se avete lavorato almeno 15 ore non stop negli ultimi 90 giorni della vostra vita, altrimenti fate una bella pasta biriseé come la fa questa donna. Pulite i carciofi in modo che rimanga solo il cuore (compresi però i gambi) e cuoceteli per 20 minuti circa al vapore. Sciogliete il burro in una padella e rosolateci la pancetta tagliata a dadini. Sbattete 4 uova con il pepe e il parmigiano e incorporatevi i carciofi, il provolone a dadini e la pancetta rosolata. Foderate una teglia o una tortiera con della carta da forno, rivestitela con la pasta e versateci dentro il composto di uova e carciofi. Ripiegate i bordi di pasta sul ripieno, e pennellate tutto con il quinto uovo poco sbattuto. Cuocete per 30 minuti circa a 180° (anche 40 minuti però, dipende dal forno!). Si mangia anche fredda, ma calda è eccezionale.

Buon fine settimana a tutti!

sabato, novembre 11, 2006

E' l'ultima volta...

...che lavoro di sabato e domenica. Vabbè sono anni che lo dico e non ci credo più. Così stavolta lo scrivo e magari riesco a mantenere questo buon proposito. Nel frattempo posto questi Canederli agli spinaci che sono nel mio congelatore proprio per i "periodi bui" come questo nei quali, non posso neanche cucinare; ma piuttosto che arrendermi a saltare 4 volte nella padella, getto 4 di questi ancora congelati nel brodo bollente per circa 20 minuti. Per una ventina di pezzi fate così:
  • 500 gr di pane secco
  • 1 kg di spinaci puliti
  • 50 gr di burro
  • 200 ml di latte tiepido
  • 2 uova
  • 100 gr di pane grattugiato
  • noce moscata
  • 100 gr di parmigiano grattugiato

Cuocete a vapore gli spinaci. Nel frattempo tagliate il pane a dadini piccolissimi e versateci sopra il latte tiepido lasciandolo a bagno. Scolate bene la verdura, strizzatela e ripassatela in padella con il burro e la noce moscata. Una volta fatto ciò, tagliuzzatela con le forbici ben bene ed aggiungetela al pane ben ammollato e ridotto in pappa. Aggiungete il formaggio, le uova e il pane grattugiato fino a quando l'impasto non risulti adeguato a fare delle polpette con un diametro di circa 3 cm. Potete congelarli in un vassoio e dopo disporli in sacchetti (se no si devastano) o cuocerli subito in abbondante brodo bollente per circa 15 minuti.

E ora me ne torno a lavoro...

mercoledì, novembre 08, 2006

Metà & metà

Giuro che è l'ultima volta che parlo del tempo. Atmosferico intendo. Lo so, sembro quella vecchia vicina 82 anni che ogni mattina vi fa il suo bel bollettino meteo perchè proprio non riesce a parlarvi d'altro; però a mia discolpa invoco il fatto che la cucina e i suoi ingredienti, mutano molto al variare delle stagioni.
Questa "Pizzette" di polenta arrostita con sugo ai peperoni, un piatto metà d'inverno e metà d'estate è l'emblema di una lunga estate e di un rapido ingresso dell'inverno, che lascia nel frigo chili di peperoni acquistati solo 4-5 giorni prima dell'arrivo del grande freddo che implora il conforto di un cibo adeguato.
Per preparala per 6 persone vi occorrono:
  • 2 lt di polenta
  • 500 gr di pomodori pelati
  • 1 peperone rosso
  • mezza cipolla
  • 4-5 cucchiai di olio evo
  • 100 gr di parmigiano grattugiato
  • qualche foglia di basilico sopravvissuta

Preparate la polenta come di consuetudine e appena pronta versatela in uno stampo da plum cake foderato di carna da forno, lasciandola riposare un paio d'ore. Mettete in un tegame i pelati, l'olio, il peperone tagliato a dadini e la mezza cipolla intera e fate cuocere per 40-50 minuti a fuoco lentissimo. Sformate la polenta, tagliatela a fette spesse poco meno di un centimetro, e grigliatele su una piastra rovente fino a quando non si formi una bella crosticina croccante. Disponetele quindi in un piatto e cospargete con il sugo, il parmigiano grattugiato e il basilico spezzettato con le mani.

E adesso che ci faccio con gli altri 14 peperoni?

domenica, novembre 05, 2006

E' arrivato!

Finalmente è arrivato l'inverno o per lo meno, l'autunno inoltrato. Non che non fossero state belle la prolungata estate settembrina o la seconda primavera dell'anno che si è manifestata qui nel mese di ottobre; solo che 27-28 gradi, non ispirano certo funghi, castagne, novello e tutte la altre delizie che caratterizzano l'autunno e delle quali non sentivo di potermi privare oltre. E poi mi mancava la luce, la luce speciale che inonda questa casa quando il mare dove prospetta non è azzurro, ma di questo indefinibile colore...
Ma sopratutto a me la "bella stagione" (come se poi questa fosse "brutta", per me non lo è affatto, anzi!) non ispira assolutamente alcuna preparazione a base di carne. E infatti su questo blog, cominciato il 30 di aprile di quest'anno, piatti "carnivori" non ne erano mai comparsi prima della Genovese postata qualche giono fa. In qualche modo dunque devo rifarmi di questa mancanza, e così oggi posto questo Rotolo di tacchino con porcini, scamorza e pancetta, di grande effetto e semplicissima preparazione. Per prepararlo vi occorrono:
  • 1 pezzo di fesa di tacchino intero di circa 1,2 kg
  • 200 gr di scamorza
  • 200 gr di pancetta arrotolata tagliata sottile
  • 50 gr di porcini secchi
  • un ciuffo di prezzemolo
  • 100 gr di parmigiano
  • pepe nero macinato al momento
  • olio evo 3-4 cucchiai
  • un ago e spago da cucina
  • 1Kg di patate da forno
  • una presa di erbe aromatiche provenzali (rosmarino, salvia, maggiorana, origano etc...)

Se non siete pratici nel tagliare la carne, fatevi preparare dal macellaio una fesa di tachino intera ben stesa. Ponetela aperta su un tavolo e cospargetela con i porcini fatti rinvenire in acqua calda per una mezz'ora, le fettine di scamorza, il cuore delle fette di pancetta (il contorno più "grasso", conservatelo, vi servirà dopo) il prezzemolo tritato, il parmigiano grattugiato e una generosa macinata di pepe nero come illustrato nella foto sotto:

Arrotolate la fesa ben stretta su se stessa, e cucitene i bordi con ago e spago da cucina. l'operazione non è affatto difficile e se siete sufficientemente sadici come me, vi ricorderà l'allegro chirurgo con il quale giocavate da piccoli. Apprezzabile effetto collaterale di questo divertimento, sarà la compattezza delle fette che, una volta cotta la fesa, avranno press 'a poco questa sezione:

Una volta completata l'operazione di "cucitura", arrotolate la parte grassa delle fette di pancetta che avevate messo da parte intorno al rotolone di tacchino: il grasso della pancetta sciogliendosi, ammorbidirà la carne del tacchino che di solito risulta un po' stopposa se cotta in forno. Tagliate in grossi quarti delle patate adatte ad essere cotte al forno, ungete con l'olio una teglia, deponetevi il rotolo e contornatelo con esse. Spolverate il tutto con le erbe, ed infornate per circa un ora (un ora del mio forno che come sapete è un reattore nucleare) in forno già caldo a 240°. Il risultato dovrebbe essere questo:

E adesso vado a farmi un the caldo perchè, finalmente, l'inverno è arrivato!


venerdì, novembre 03, 2006

Memento

Dovete sapere che una delle strambe caratteristiche de La Cuoca Rossa, è quella di avere facoltà mnemoniche prodigiose. Sia chiaro, è difficile che io possa rammentarmi andando da una stanza all'altra se mi ero spostata per cercare le forbici o una penna, né dovete pensare che possa fare a meno di una agenda per ricordare un appuntamento; non è in questi fattori che risiede la mia capacità di rammemorare.
Piuttosto essa appare situata nella attitudine ad attribuire a taluni "fatti" una sorta di potere evocativo; tali "fatti", per intenderci, non sempre hanno una loro consistenza fisica, ma appartengono tanto al mondo delle immagini quanto a quello dei suoni, delle esperienze tattili o, ovviamente, a quello dei sapori e degli odori. Quando uno di questi eventi si manifesta, nella mia mente deflagra come una bomba capace di restituirmi ad una perduta dimensione temporale dalla quale vengo assorbita rammentado anche i più insulsi particolari e, forse, maggiormente quelli.
Per questo partecipo più che volentieri al
meme-mnemonico al quale mi ha invitata Orchidea.
Il "piatto della memoria" per eccellenza, è per me La genovese, che di genovese non ha proprio nulla tranne che il nome, ma ci sono numerose
interpretazioni sulla sua misteriosa origine. Si tratta di uno "stracotto" di carne che diventa a Napoli un particolarissimo ragù con il quale si condiscono gli "ziti spezzati", ovvero degli zitoni lunghi che si spezzano a mano perchè i tanti piccoli frammenti che l'operazione della "spezzatura" genera, sono uno "sfizio" che si aggiunge alla preziosità del piatto. In questi giorni, nei quali si usa commemorare i defunti, credo sia bello ricordare così entrambe le mie nonne che lo preparavano mirabilmente.
Per 4-6 persone vi occoccono: (appongo fotografia degli ingredienti perchè il nome dei tagli di carne è rigorosamente in napoletano)
  • 500 gr di tracchie di maiale (credo siano le puntine o costine)
  • 500 gr di annecchia di vitello (spezzatino di secondo taglio atto a lunghe cotture)
  • 200 gr di cotica di maiale
  • un po' di nervetti di carne
  • 1 Kg di cipolle dorate
  • 2 bicchieri di vino bianco (la mia variante è adoperare il Barolo)
  • 2 cucchiai di concentrato di pomodoro
  • 1 carota
  • 1 dl di olio evo

Inoltre vi occorrono un tegame in terracotta molto largo e mediamente alto, e molta, moltissima pazienza...

Preparate le cotiche, sgrassandole bene e arrotolatele ad involtino legandole con uno spago da cucina ben strette. Sbucciate con paziente abnegazione e un mare di lacrime, un chilo di cipolle che taglierete a fettine sottilissime, praticamente un velo. Ponete la carota tritata nell'olio e soffriggete a fuoco non altissimo. Ponete le cotiche e i nervetti di carne, poi subito dopo l'annecchia. Soffriggete bene rosolando la carne di vitello e sfumate con il primo mezzo bicchiere di vino bianco (o preziosissimo Barolo). Aggiungete le tracchie, il concentrato di pomodoro e risfumate con il secondo bicchiere di vino sempre quando la carne è ben rosolata e quasi sul punto di attaccarsi al fondo del tegame. Questa operazione che si chiama "tirare" il sugo, è una parte fondamentale della preparazione. A questo punto abbassate la fiamma e agiungete le cipolle tagliate a velo (non tritate per carità). Incoperchiate, e lasciate "pippiare" a fuoco lento per un paio d'ore. Questa operazione è fondamentale perchè la cipolla deve disfarsi, diventare crema, pena il suo costante "ricordo", visto che siamo in argomento, per un paio di giorni dopo averla mangiata. Passate che sono le due ore, tornate al vostro tegame (controllatelo ogni tanto, ma se il fuoco è davvero basso, le cipolle non dovrebbero attaccarsi ma anzi rilasciare molto liquido) e alzate la fiamma. Ripetete l'operazione di tiraggio, facendo quasi riattaccare carne e cipolle sul fondo e risfumando per due volte con un mezzo bicchiere di vino. A questo punto, aggiungete un paio di bichcieri di acqua calda e fate cuocere ancora per una mezz'ora. Separate la carne (se ne siete capaci), che mangerete per "secondo", dalla purea di cipolle che adopererete per condire 500 gr di ziti spezzati. Consigliata vivamente una cucchiaiata di parmigiano per completare.

Mi rendo conto che per chi non l'ha mai assaggiata, provare un piatto dove carne e cipolle compaiono nella medesima quantità deve apparire quantomeno insolito, se non incatuto. Ma posso assicurarvi che se correttamente preparato, la cipolla praticamente "scompare" e con essa anche l'inconveniente del suo particolare odore. Potreste obiettare: e se invece sbaglio e il chilo di cipolle resta tutto li? Beh, come diceva un buffo omino baffuto: memento audere semper!